Morelia (Chondropython) viridis (Schlegel, 1872)

Ordine: Squamata
Sotto-ordine: Serpentes
Famiglia: Boidae
Sotto-famiglia: Pythoninae
Genere: Morelia
Specie: viridis

NOTE TASSONOMICHE
O
riginariamente descritto da Schlegel (1872) come Python viridis, il taxon viene subito distinto da Meyer (1874) in un proprio genere monotipico appositamente coniato: il Chondropython. Si deve comunque a Boulenger (1893) la conversione nella denominazione scientifica ancora oggi più popolare e in voga presso gli appassionati di tutto il mondo, secondo una maggiore aderenza cromatica con l’olotipo analizzato, in Chondropython viridis. Underwood&Stimson (1990) sulla scia dei lavori di Storr et al. (1986) giungono ad invalidare la legittimazione del genere Chondropython e, in considerazione della contiguità filogenetica con Morelia spilota, annettono il taxon viridis al medesimo genere. Morelia viridis rappresenta oggigiorno, secondo i parametri della Commissione Internazionale per la Nomenclatura Zoologica (CINZ), la dicitura tassonomica ufficiale, peraltro corroborata dalle recenti indagini genetiche e biochimiche basate sull’analisi di sequenze di citocromo-b. Di tutt’altro avviso invece l’erpetologo Australiano Raymond Hoser (2000, 2003, 2004) che, appellandosi alla storia geofisica della regione Australasiatica e dei suoi mutamenti climatico-biotopici, supporta la validità del genere monotipico ritenendo Morelia spilota ssp. e Chondropython viridis evoluzionisticamente distinguibili. Nel 2003 tale visione verrà estremizzata con la proposta di riconoscimento formale di sottospecie (Chondropython viridis shireenae) per le popolazioni endemiche dell’estrema punta di Cape York (Australia).

PROVENIENZA E BIOTIPO
M.viridis presenta una distribuzione geografica estremamente vasta ed articolata, che comprende tanto le mainlands Australasiatiche quanto numerose isole ed arcipelaghi limitrofi (McDowell 1975, Schroder 1982, Wilson&Knowles 1988, Covacevich&Couper 1994, O’Shea 1996, Weier&Vitt 1999). In Nuova Guinea si segnalano popolazioni nei pressi di Jayapura, lungo le zone costiere meridionali, nella punta occidentale di Irian Jaya, sul versante orientale, infine a sud nelle vicinanze di Fakfak. A Papua il taxon si rinviene lungo il corso del Fly River e nelle aree adiacenti la foce ed innanzi all’isola Daru. Sulla costa orientale diverse popolazioni occupano i territori nei pressi di città quali Malaga, Madang, Rempi Mission, Nagada Mission e Mugil Mission, gli altopiani più interni al confine con Irian Jaya, sulla dorsale orientale del Bismarck Range, la porzione sud della penisola di Huon, la penisola di Salamaua, il Kuper Range, a nord dell’Owen Stanley e a sud nell’Heron Range. In Australia M.viridis risulta invece segregata nell’estremo est della penisola di Cape York. Varietà insulari popolano le isole di Geelvink Bay, le Aru, il gruppo formato da Yapen, Biak e Numfoor, ad ovest di Sorong su Misool, Salawati e Gag. Infine a sud di Papua su Daru, e ad est della mainland sulle isole d’Entrecasteau limitatamente a quelle di Fergusson e Normanby. La specie è rinvenibile da 0 fino a 2000 m. sopra il livello del mare (O’Shea, 1996). Questi serpenti occupano in natura diversi ambienti neotropicali a fitta vegetazione caratterizzati da precipitazioni annue tra i 2000 ed i 3.500 mm.

ASPETTO E VARIBILITA’
Ofide di corporatura snella ed agile, con una sezione del tronco lateralmente compressa, è provvisto di una lunga coda prensile atta alla vita arboricola. Raggiunge in età adulta modeste dimensioni, mediamente stimabili intorno ai 120 – 160 cm., per circa 1100-2000 gr. di peso. La testa di forma triangolare è piuttosto corta, massiccia, dai contorni ben marcati e rigonfia posteriormente in due lobi prominenti. Anteriormente il muso termina arrotondato e solcato a livello labiale da vistose fossette termorecettive. La colorazione verde costituisce il pigmento di base, mostrando un’ampia varietà di intensità e toni. Sebbene esistano in alcune popolazioni esemplari pressoché patternless (i.e. Southern-type) la specie possiede, tanto in età adulta che giovanile, una vasta gamma di disegni con foggia e colorazioni particolarmente mutevole e determinata sulla base della provenienza geografica. A prescindere dalla località di appartenenza si delineano, a grandi linee, quattro tipologie generali qui di seguito elencate soltanto nei loro caratteri più salienti:

1) Southern-type (i.e. Aru, Merauke, Australian)
Adulti caratterizzati da una tonalità di verde tenero e un disegno composto da squame bianche variamente disposte: a “grappoli” sparsi, anche di una certa consistenza (Aru), oppure tipicamente allineate lungo la linea dorsale (Merauke). Negli Australian le sporadiche squame del disegno sono caratteristicamente gialle o verde pastello, e non si hanno notizie di soggetti con catena dorsale ininterrotta alla stregua di alcuni Merauke. Costituzionalmente la testa è piuttosto corta e schiacciata, mentre la corporatura appare più massiccia se paragonata ad altre provenienze. Negli Aru il ventre bianco presenta una colorazione latero-ventrale azzurra e la coda tronca ha la punta smussata screziata di color nero, blu scuro e bianco; nei Merauke ed Australian il ventre è invece giallo chiaro e le code affusolate sono verdi. Le cucciolate si compongono esclusivamente di soggetti color giallo, che alla nascita presentano un pattern costituito da finissime puntinature scure che in posizione dorsale assumono la forma di rosette e radi spot nero-marrone di modesta estensione; molto raramente questi si connettono formando piccole bande irregolari.

2) Biak-type (i.e. Biak, Yapen, Numfoor)
Gli adulti si contraddistinguono per la conformazione della testa allungata e stretta, gli occhi sporgenti, il corpo snello ed affusolato ma ugualmente robusto. Code molto lunghe ed uniformemente scure. Notevoli le dimensioni raggiunte con femmine anche sui 180 cm. La livrea a mutazione ultimata è verde scuro, particolarmente intensa negli esemplari più anziani, con spot gialli molto irregolari che in alcuni esemplari raggiungono una certa estensione specie sul muso. Le covate sono numerose, le dimensioni delle uova e dei cuccioli statisticamente maggiori che in altre forme. Le cucciolate sono cromaticamente miste: i nascituri gialli hanno i fianchi puntinati di rosso vermiglio come anche il disegno dorsale a foggia di grossi spot irregolari con il centro invece bianco; quelli a sfondo rosso, spesso molto acceso, hanno un pattern di triangoli chiari allineati lungo il dorso spesso finemente bordati di scuro. Il cambiamento cromatico è molto lento e richiede anche alcuni anni; i cuccioli rossi, in particolare, incorrono con gradualità in un mutamento radicale e complesso passando prima a tonalità gialle e quindi al verde.

3) Mainland-type (i.e. Sorong, Kafiau, Waigeo)
Aspetto classicamente caratterizzato dalla brillantezza del verde, spesso tendente al giallo, e la consistenza del disegno dorsale blu “a catena” costituita da disegni romboidali, all’interno dei quali sono a volte presenti singole squame bianche o gialle variamente dislocate. Anatomicamente il muso è corto, i lobi posteriori particolarmente pronunciati, il corpo slanciato e snello. Come nell’ Aru-type la punta della coda è nera o comunque per la maggior parte scura. Le cucciolate si compongono di esemplari gialli (Barnett pers.com., 2005; Sommerauer pers.com., 2005; Kamiński pers.com., 2005) che si distinguono dalle provenienze dell’Aru-type per il pattern di linee dorsali e screziature marrone-porpora più intricato ed esteso. Non rari i casi di bloodlines in cui si osserva una continuità del disegno dorsale come negli esemplari gialli di popolazioni montane.

4) Highland-type (i.e. Jayapura, Cyclops Mountains, Lereh, Wamena)
Animali adulti cromaticamente verdi scuro, il pattern a “catena” si presenta spesso ininterrotto e con pronunciate forme romboidali; presenti rade picchiettature chiare. Si conoscono alcuni esemplari completamente patternless con colorazione di fondo verde-bluastra molto carica. Le code sono uniformemente verdi. Cucciolate miste nelle quali la percentuale degli esemplari gialli, contraddistinti da un disegno a catena particolarmente marcato, è superiore rispetto a quella dei rossi, solitamente “vinaccia” e dall’aspetto fuligginoso durante la mutazione cromatica per la presenza di finissime picchiettature nere. In questi ultimi esemplari dal pattern dorsale a foggia triangolare bianco, spesso molto contrastante con lo sfondo, sembra svilupparsi in età adulta un disegno dal blu più intenso e marcato.

BIOLOGIA
Taxon altamente specializzato ad occupare quella particolarissima nicchia ecologica che corrisponde alla rigogliosa foresta pluviale primaria nella regione Australasiatica. Notturno, trascorre il giorno nascosto nell’incavo di tronchi su alberi d’alto fusto (Switak, 1975, 1995), o tipicamente adagiato nella caratteristica postura con le spire ellissoidali simmetricamente spartite ai lati del ramo. Il crepuscolo è testimone di un repentino cambiamento dei livelli d’attività generali, raggiungendo il suo culmine alle prime ore della notte quando molti esemplari scendono addirittura al suolo per cacciare (O’Shea 1996, Switak, 1975). Per diverso tempo si è supposto che questi pitoni si nutrissero quasi esclusivamente di avifauna catturata al volo, recenti studi sul campo attesterebbero invece un elevato consumo di rettili e roditori arboricoli (Rattus sp.) di piccole e medie dimensioni (McDowell 1975, Shine 1991, Henderson 1993). I cuccioli ed i giovani si nutrono prevalentemente di piccoli sauri (McDowell 1975) quali gechi, scinchi (Emoia sp.) ed anuri (Barker&Barker 1994), che attirano con sinuosi movimenti della lunga coda alla stregua di una vera e propria esca (caudal-luring). Alla stregua di altri taxa zoologici il mutamento cromatico ontogenetico è un processo estremamente variabile nei tempi, che in M.viridis solitamente inizia dal sesto mese d’età per completarsi in un periodo compreso tra pochissimi giorni (a volte ore), una decina di mesi, o addirittura qualche anno (i.e. Biak-type). Le ragioni di tale curioso fenomeno sembrano connettere tra loro variabili quali l’età, la preferenza a dimorare ad una determinata fascia di vegetazione, la relativa disponibilità di una particolare tipologia di prede. Ricerche naturali testimoniano come i giovani si muovano più a loro agio tra piante con fini ramificazioni ed infiorescenze dai colori sgargianti, a differenza degli adulti statisticamente rinvenibili con maggiore frequenza negli strati superiori dell’intricato fogliame.

ESIGENZE DI ALLEVAMENTO
Serpente tradizionalmente riservato ad allevatori esperti, M.viridis di fatto non è da considerarsi un animale per neofiti. Il suo allevamento va pertanto consigliato a persone che abbiano già acquisito un certo livello esperienziale con la gestione di rettili in generale ed una certa dimestichezza con i serpenti. E’ altrettanto giusto precisare come un rigoroso mantenimento dei parametri ambientali e pochi altri accorgimenti specifici non siano necessità così complicate da fornire a questo pitone che, tranne in età giovanile, non si rivela più delicato di qualsiasi altro serpente arboricolo. Date la reciproca intolleranza ad una convivenza coatta ed una maggiore facilità gestionale, ospiteremo ogni singolo esemplare in una teca. Questa, sia essa di plastica grassa, polietilene, altre miscele tipo fibra di vetro o affini, deve essere resistente, sterilizzabile, ma soprattutto immarcescibile a fronte degli alti livelli d’umidità ai quali verrà soggetta. Classicamente la teca tipo per rettili arboricoli si caratterizza per la forma sviluppata verticalmente le cui misure ottimali, nel nostro caso specifico, saranno di 70 cm. (lunghezza) x 70 cm. (larghezza) x 100 cm. (altezza). Oltre alla funzione primaria di fornire un fondo igienico, qui il substrato assolve ad un’altra importante funzione: assicurare, mantenendo, un certo grado d’umidità. All’uopo trovano impiego diversi materiali quali la carta assorbente bianca di tipo industriale o i più naturali, ed esteticamente apprezzabili, corteccia di cipresso o ancora fibra di cocco. Impregnandosi d’acqua costituiscono fondi adatti al lento rilascio dell’umidità e, asciugandosi durante il corso della giornata, provvedono egregiamente all’alternanza dei livelli tra il giorno e la notte. E’ di fatto opportuno creare una sorta di “ciclo” di tale parametro, lungo l’arco della giornata, erogando abbondanti nebulizzazioni d’acqua nelle prime ore mattutine. Otterremo così una saturazione dell’aria limitatamente a qualche ora che andrà lentamente a scemare fino a valori del 70-65%, o poco meno, durante la notte e l’approssimarsi dell’alba. A ciò si connette il problema del ricircolo dell’aria all’interno della teca, ricordando qui l’importanza fondamentale di impedirne il ristagno ed il nocivo proliferare di colonie di funghi e batteri. Relativamente le temperature, infine, alloggiando ad un’estremità del terrario una circoscritta fonte di calore termostata sui 32°-35°C provvederemo un gradiente termico variabile costituito da diversi microclimi compresi tra i 33° ed i 25°C. In merito agli arredi, assecondando la natura prettamente arboricola di M.viridis, doteremo la teca di uno o più supporti sollevati da terra disposti a varie altezze, in modo da creare così gradienti termici diversi che, in accordo con le specifiche esigenze del momento, l’animale potrà scegliere a proprio piacimento. Si potranno usare allo scopo rami di piante non resinose o segmenti d’opportuna lunghezza di canna di bambù oppure, ugualmente efficaci, tubi in PVC. Qualsiasi sia la scelta del materiale adottato è importante che il diametro di tali supporti sia adeguato alle dimensioni dell’animale che ospiteremo: del medesimo spessore raggiunto dall’esemplare a metà del tronco, e vengano provvidenzialmente fermati saldamente alle pareti della teca considerando che l’animale afferra la preda slanciandosi dal supporto che potrebbe ruotare su se stesso con il rischio di rovinare al suolo. La presenza di fogliame nella teca, oltre ad una funzione meramente estetica, offre la possibilità di costituire un valido riparo visivo all’animale, diminuendone così i livelli di stress. Anche qui si distinguono diverse soluzioni a discrezione dell’allevatore nella scelta di piante vive (Scindapsus aureus e pictus, ed ancora Asplenium e Philodendron) o finte (in seta o altre fibre sintetiche) che dovranno necessariamente essere provviste di foglie a larga foggia per lo scopo sopra indicato.

RIPRODUZIONE
Il nostro è notoriamente considerato un serpente problematico da riprodurre con successo. Una reputazione che col trascorrere del tempo si è soltanto in parte ridimensionata palesandosi, soprattutto negli anni passati, conseguenza diretta delle inadeguate modalità con le quali gli esemplari venivano inizialmente esportati dai luoghi d’origine (Ross&Marzec, 1990). M.viridis non è un serpente che segue un andamento riproduttivo stagionale, e sia in natura che in cattività è possibile osservare accoppiamenti durante tutti i mesi dell’anno a prescinderne dall’esito. Input migliori per stimolare negli animali un’attività copulatoria possono sintetizzarsi nell’unione dei due sessi durante un limitato periodo dell’anno, e la conseguente riduzione del fotoperiodo con abbassamento delle temperature notturne (brumazione). Più che per elicitare comportamenti riproduttivi tali cambiamenti sono finalizzati ad ottenere l’innesto di quei processi biologici d’ordine metabolico che, soprattutto nelle femmine, ne garantiranno la fertilità. Seguendo grosso modo un protocollo standardizzato per diversi taxa di rettili tropicali si giungerà così a fine novembre con minime notturne di 18°-20°C, ed una consistente riduzione del fotoperiodo a sole 8 ore di luce al giorno. Per scongiurare possibili affezioni respiratorie si consiglia l’adozione di uno spot tarato sui 35°C durante le ore diurne, e la totale sospensione di nebulizzazioni in prossimità della fase serale “fredda”. Dopo circa sei settimane si passerà finalmente alla fase di appaiamento, introducendo il maschio nella teca della femmina. Sarebbe opportuno che ciò avvenisse durante le ore diurne al fine di evitare che questa possa eventualmente attaccare il maschio “invasore”, ancora meglio se immediatamente dopo che la stessa abbia compiuto l’ecdisi in ragione della maggiore carica ormonale che se ne sprigiona. Gli animali saranno infine mantenuti appaiati ed esposti a tali oscillazioni climatiche fino a quando la femmina non inizierà a mostrare chiari segni di gravidanza (i.e. la voluminosa ovulazione che solitamente dura da poche a circa 48 ore). Dopo circa quattro settimane da questa si verificherà l’immancabile muta pre-deposizione, in concomitanza della quale noteremo una visibile agitazione della femmina alla ricerca del sito più idoneo nel quale deporre le uova. Le forniremo quindi un “nido” costituito da una scatola cubitale di polistirolo o legno di 25 cm. di lato, con un foro d’entrata di almeno 8 cm. di diametro, e dotata di un’apertura laterale che permetta, senza macchinose manovre che potrebbero innervosire la femmina, di controllarne agevolmente l’interno. Il fondo verrà ricoperto con uno strato di circa 10 cm. di muschio o altre fibre vegetali pressate ed assolutamente asciutte; quindi posizionata in un punto rialzato del terrario ad una temperatura costante di 29°-31°C. Il metodo più diffuso nell’incubazione delle uova di M.viridis prevede la totale assenza di substrato (“no medium”), sia esso organico o inerte. Le uova poggiano direttamente su di una semplice griglia di plastica sospesa sopra un fondo d’acqua, il tutto chiuso da un coperchio che impedisca un’eccessiva evaporazione, quindi alloggiato all’interno di un’incubatrice con una percentuale di umidità costante del 100%. In merito al regime termico ricreeremo fluttuazioni settimanali così semplificate: 30.5°C. durante tutta la prima settimana, 31.5°-32°C. le successive cinque, 30°-30.5°C. nell’ultima. I tempi di incubazione varieranno da un minimo di 48 ad un massimo di 67 giorni (di norma tra 49 e 52).

NOTE E PARTICOLARITA’
Per la particolare frequenza con la quale si manifestano in tale taxon, tanto da farle quasi considerare d’ordine specie-specifico, vengono qui di seguito tratteggiate due problematiche di ordine clinico:
1) Dislocazione delle vertebre (kinky-tail syndrome): si verifica a carico di alcuni elementi vertebrali della spina dorsale a causa di una sua trazione o pressione; col tempo questi aderiscono formando un callo osseo dall’aspetto di un nodulo sporgente in corrispondenza della lesione. In M.viridis questo fenomeno è facilmente procurabile ai giovanissimi esemplari nel tentativo di rimuoverli da un supporto al quale sono saldamente ancorati o anche semplicemente sessandoli con un sondino. Tali noduli, spesso anche vistosi nella loro prominenza, raramente comportano conseguenze di una qualche rilevanza (salvo un danneggiamento della nervatura sottostante), e l’animale che ne è affetto conduce un’esistenza del tutto normale
2) Prolasso rettale: durante la defecazione capita spesso di vedere una piccola porzione del tratto terminale dell’intestino fuoriuscire dalla cloaca e venir subito retratta; ben più problematico è invece quando questa inizia a tumefarsi per la pressione sanguigna, aumentando di dimensioni tali che non può più essere riposizionata all’interno dello sfintere cloacale. Condizione dall’eziologia multideterminata, quanto mai varia, può dar luogo a conseguenze molto gravi qualora non si agisca tempestivamente. Qualsiasi sia l’origine che l’abbia provocata è bene “ri-invaginare” il prolasso prima possibile. Dapprima lo si disinfetterà e decongestionerà immergendolo in una soluzione di Betadine diluito con acqua ghiacciata precedentemente saturata di zucchero. Secondo poi alloggeremo l’animale in un piccolo contenitore privo di supporti, adagiato direttamente su della carta assorbente intrisa d’acqua tiepida che eviti il disseccarsi, e conseguente necrotizzarsi, dei tessuti ancora esposti. Dopo che il prolasso si sarà ridotto di dimensioni consulteremo un veterinario per riposizionarlo correttamente mediante un tampone sterile, e somministrare una copertura antibiotica. In alcuni casi particolarmente gravi si rivela necessario apporre in corrispondenza della cloaca un paio di punti di sutura che ne restringano, senza chiudere completamente, l’orifizio, ed una copertura antibiotica preventiva.

Articolo di Stefano Alcini

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